E’ matematico

E’ matematico in Veneto che ogni band che si approcci alla scrittura di opere proprie cada nel filone wave triste mi taglio l’addome con il coltello.
E’ matematico in Veneto che ogni band che si approcci alla scrittura di opere proprie cada nel filone wave triste mi taglio l’addome con il coltello e faccio una struttura Fa-La ripetuta ossessivamente.
E’ matematico in Veneto che ogni band che si approcci alla scrittura di opere proprie cada nel filone wave triste mi taglio l’addome con il coltello e faccio una struttura Fa-La ripetuta ossessivamente che il cantante ci passerà coi maroni del gatto sopra.
E’ matematico in Veneto che ogni band che si approcci alla scrittura di opere proprie cada nel filone wave triste mi taglio l’addome con il coltello e faccio una struttura Fa-La ripetuta ossessivamente che il cantante ci passerà coi maroni del gatto sopra mentre il chitarrista sirenerà un ti-no-ni-no-ni-no.
E’ matematico in Veneto che ogni band che si approcci alla scrittura di opere proprie cada nel filone wave triste mi taglio l’addome con il coltello e faccio una struttura Fa-La ripetuta ossessivamente che il cantante ci passerà coi maroni del gatto sopra mentre il chitarrista sirenerà un ti-no-ni-no-ni-no quando il batterista vi avrà già fracassato i maroni con lo sciafsciafsciafsciaf sul charleston.
E’ matematico in Veneto che ogni band che si approcci alla scrittura di opere proprie cada nel filone wave triste mi taglio l’addome con il coltello e faccio una struttura Fa-La ripetuta ossessivamente che il cantante ci passerà coi maroni del gatto sopra mentre il chitarrista sirenerà un ti-no-ni-no-ni-no quando il batterista vi avrà già fracassato i maroni con lo sciafsciafsciafsciaf sul charleston e noi staremo già ordinando la seconda. Bionda media, grazie. Prosit!

La capanna dello zio Tom

Quando fai una endurance di lonerismo nella tua “capanna”, pianifichi troppo con la testa che sei più stanco di quando hai zappato l’orto.

Stavo ascoltando per la prima volta il nuovo Hypnotic Eye di Tom Petty quando arrivo alla traccia 5, All You Can Carry. Il suono arriva prima, prima degli altri pezzi e prima del testo. E quando il suono ti arriva prima e ti riascolti il pezzo per cinque volte, ti accorgi che il testo fa così:

Take what you can
All you can carry
Take what you can and leave the past behind
We gotta run […]

No one can say I didn’t have your side
No one can say I left without a fight”

E ti ricordi che alle cinque del mattino hai inviato un messaggio che sta facendo corto circuito. 

 

 

Elettricità a suoni spenti

Gli sguardi ed i gesti alla fine di un concerto sono del tutto spontanei e pieni di vitalità oltre il concerto stesso.

Sono l’intesa, l’abbraccio e un “ok, ghemo fato na figada”. In quel momento tutti gli spettatori si sono già girati da un’altra parte. Chi a disquisire sul live, chi a baciare la morosa, chi “dai, nemo bèare na roba”. Io no, io sto li. Un attimo. Conosco quei momenti e ne ho una gran riserva in cuore.

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Fenomenologia di un culto.

Il 1985 si apre con un gelo memorabile, gelo climatico che si aggiunge ad altro gelo socio politico mondiale e al mio personale gelo.

In quel clima, buttarsi nello sfacelo interiore fa tanto “alt” e buon pretesto per lo sfoggio comodo del “mi si nota di più se sono depresso?”

Le giornate scorrono veloci al ritmo di trasmissioni radiofoniche specializzate e sul tavolo campeggia la lista delle uscite discografiche per le quali val ben sacrificare un pasto settimanale. Mai campato nell’oro, vissuto con orgoglio ma se avessi potuto evitarlo…

Gli stilemi sono ben noti: un chiodo, una cresta, creeper, catene. Un buon motivo per starsene fuori da tutto e sopportare il peso dell’omologazione che mai ebbe partita vinta se non qualche battaglia.

Son cose che capitano, la scure del rock’n’roll si abbatte su chi non ha l’appeal del giovane moderno.

Love dei Cult cadeva in quell’anno dritto sul groppone del vostro depresso alternativo. Ricordo una domenica pomeriggio al bar, la tv che manda she sells sanctuary e l’esaltazione tale che accettai di andare al cinema a sorbirmi l’ennesimo inutile rocky con un personaggio molto raccomandabile. Per la cronaca, passò gli anni successivi a far ferie in posti freschi e poco soleggiati. Bei tempi, la droga di stato era nel pieno della popolarità senza bisogno di un Lou Reed a decantarne pensieri, emozioni e morte invocata. Molti si applicavano nell’arte del furto con scasso e autoradio ed ognibendiddio “ciordi” bazzicavano nei mercatini improvvisati sotto ai tavolini e agli ombrelloni dell’Algida. Bei tempi, no? Il gelo, dicevo.

Alla generazione dei colossi del rock, s’era imposta la musica nuova che in quel periodo aveva la patina grigia di un mancuniano triste e fascistoide che finì il computo dei giorni davanti a la ballata di Stroszek di Werner Herzog. Per chi come me aveva fatto le elementari con i dischi di Hendrix, Beatles, Stones, suonò l’alert del “nontiparetroppo?”.

Le camice paisley di Billy Duffy, i capelli lunghi e sciolti di Ian Astbury, le movenze delle Soultana’s (poi finite alla corte di Doctor and the Medics) pesavano già bene il clima: è il tuo fottutissimo rock’n’roll, ragazzo! Antifreeze for the soul!

Fin qui, tutto quello che il vostro vide e sentì.

Ai recensori non stavano simpatici i Cult, intenti ad esaltare le gesta di avanguardisti della nota singola. Me ne restai dalla parte del torto assieme a qualche milione di adoratori delle note multiple. Ne vidi gli ambasciatori al concerto del 1986 a Padova: dark waver, punk, hardrockers, metaladdicted, hippies 50enni. Lo scibile esastringato era perfettamente rappresentato.

Cosa fece presa in tutta quella fauna? Di sicuro, la band classica col chitarrista in tiro ed il cantante frontman ondeggiante. Per chi  s’era perso il martello degli dei, anche l’ascia di Manitou bastava a sanare quel senso di invidia verso le generazioni precedenti. Ovvio, gli hippies 50enni aspettavano il ritorno del messia.

Love ha comunque dei pregi in stesura e confezionamento.

Il disco si compone di dieci pezzi caratterizzati da strutture e accordi semplici, riff perfettamente memorizzabili dopo pochi ascolti, testi corti e ripetuti come mantra. Nella cover nera campeggiano simboli religiosi, al centro domina il disco alato di Ra/Marduk/Ashur o di chi volete (ci casca bene anche il nostro leòn in moèca). Sembra che i nostri non abbiano voluto scontentare nessuna divinità, quasi una operazione di marketing spirituale.

Fatto sta che Love sta negli scaffali di casa accanto ad altri tomi ben più declamati dalla critica.

Per il vostro fu il disgelo, la carica e il ritorno alla ghigna sul muso.

A proposito di disgelo, nello stesso anno Desmond Tutu diventa il primo vescovo anglicano nero di Johannesburg e Michail Gorbačëv viene nominato segretario del PCUS.

Fè voaltri.

The_Cult_Love

Il Poster di Padova 26 maggio 1986